Pubblicato in: Adozione

Tante difficoltà nell’adozione di un bambino

di webmaster 15 ottobre 2008

Concita de Gregorio, sulle pagine di Repubblica, la chiama la Fabbrica delle adozioni e delinea i tratti, spesso poco romantici, di quella che sempre più spesso ricorda una contrattazione economica e di mercato più che l’arrivo di un essere umano in una famiglia. Come spiega la giornalista questo è “un meccanismo farraginoso e confuso, l’amministratore delegato della fabbrica delle adozioni non esiste, ogni reparto viaggia per suo conto, quattro ministeri si dividono le competenze in una Babele di piccoli poteri custoditi gelosamente e spesso sovrapposti”. Molti genitori che sono finiti in questo, a tratti disumano, giro di giostra sanno benissimo a cosa si riferisce.

Solo nel 2006 sono stati adottati cinquemila bambini ed in sei anni, dal 2000, ne sono arrivati 25 mila di cui 18mila stranieri e 7mila italiani. Come è facile da intuire i bambini stranieri arrivano da paesi in gravi situazioni economiche e sociali e fungono da termometro per misurare questi parametri di arretratezza. Dal Brasile alla Colombia, dal Vietnam all’Ucraina, passando per i tanti paesi africani che non se la passano per niente bene. In Italia la situazione è molto cambiata negli ultimi dieci anni. In pratica, nel nostro paese, i bambini in stato di abbandono si sono ridotti a più o meno mille ogni anno. Ma molti di questi sono figli di donne straniere perché le donne italiane sembra abbiano smesso di abbandonare la loro prole. Nel 2006 a fronte di 16 mila richieste di adozione i bambini adottabili sono risultati appena 1.200, con una proporzione al di sotto di uno a dieci.

In compenso, se in questi anni l’offerta è rimasta pressoché stabile, la domanda di bambini da adottare, in un decennio, è raddoppiata. Oggi le coppie che fanno domanda di adozione sono 16mila contro le ottomila del ’95. Tra i motivi da annoverare in questa crescita: aumento della sterilità a causa del benessere e aumento dell’età media in cui le donne provano ad avere il primo figlio.

Le adozioni internazionali sono diventate allora le più gettonate. I bambini che arrivano dai paesi stranieri hanno un’età spesso inferiore di quelli ‘nazionali’ ed arrivano abbastanza presto, in media dopo due anni di attesa. In sei anni e mezzo su 15 mila domande di adozione internazionale sono arrivati in Italia 8 mila bambini: più di uno a coppia.

Per adottare uno di questi bambini è necessario rivolgersi ad una delle 72 associazioni autorizzate dal Governo a svolgere le pratiche con l’estero. Ma il vero problema, oltre alla pressione psicologica, all’attesa e spesso alla frustrazione, sono i costi. Mentre l’adozione nazionale non costa nulla, quella internazionale po’ costituire un vero salasso per una famiglia normale, visto che in media adottare un bambino straniero costa intorno ai 15 mila euro. Di certo non per tutte le tasche. Se questo non bastasse a scoraggiare molti possibili genitori, si devono calcolare anche le disponibilità di tempo per il viaggio verso il paese del bambino di adottare. Spesso sono necessari anche due mesi di ferie per riuscire a portare a casa il piccolo.

Anche se ora la legge viene un po’ incontro a queste famiglie. L’articolo 54 della Finanziaria 2008, in materia di adozioni e affidamenti prevede che “in caso di adozioni nazionali il congedo deve essere fruito durante i primi 5 mesi successivi all’effettivo ingresso del minore in famiglia, mentre in caso di adozioni internazionali può essere fruito anche prima dell’ingresso del minore in casa, nel periodo di permanenza all’estero richiesto per incontrare il minore e per gli adempimenti legati alla procedura di adozione (il congedo può essere fruito anche nei primi 5 mesi successivi all’ingresso del minore in Italia). Può essere anche fruito dal padre se la lavoratrice rinuncia”. I genitori che ora vanno a prendere un bambino all’estero ci vano in congedo di maternità.

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