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Sono state avanzate molte
proposte in questi ultimi anni a favore della famiglia. Nel frattempo, mentre
alcuni problemi tradizionali tendono a
cronicizzarsi , emergono nuove fragilità che chiedono risposte adeguate. Mentre
altri paesi hanno dimostrato una certa capacità di cogliere per tempo le sfide
e guidare i cambiamenti, l’Italia continua a trovarsi con i suoi gravi problemi
irrisolti e con un welfare pubblico debole. Sarebbe necessaria un’ampia
ristrutturazione, un’organica e coerente riforma degli strumenti di protezione
e promozione del benessere.
Esistono infatti, profondi
squilibri non solo generazionali, ma anche di genere che si manifestano in
varie asimmetrie e sprechi di risorse. In Italia le donne lavorano per il
mercato del lavoro meno degli uomini e per periodi più brevi della vita. Quelle
che entrano nel mercato del lavoro sovente ne escono precocemente o alla
nascita dei figli o per curare i genitori anziani. Inoltre hanno meno figli di
quelli che vorrebbero. Sono soprattutto le difficoltà di conciliazione che
privano molte famiglie italiane del reddito di uno dei due patner, per lo più
la donna, con gravi conseguenze sia sulle condizioni di vita che sulla
fecondità desiderata. D’altronde, sia le donne che preferiscono dedicarsi totalmente
alla cura della famiglia e dei figli sia quelle che vogliono dedicarsi
esclusivamente alla carriera stanno diventando componenti limitate
dell’universo delle donne adulte.
La stragrande maggioranza vorrebbe realizzarsi in entrambe le
dimensioni di vita, e ciò comporta esigenze di conciliazione tra maternità e
lavoro sempre più pressanti.
Le donne italiane si trovano ad
affrontare un “ trade off” tra lavoro e famiglia particolarmente difficile in
un contesto in cui il sistema di welfare state e ‘ limitato e carente, il
mercato del lavoro rigido e inefficiente e l’aiuto dei patner ancor minimo.
Una ricerca sul campo
In una recente ricerca sul campo condotta in
Italia ( pubblicata sulla Rivista di Politiche Sociali) e’ stato approfondito
il rapporto fra i ruoli maschili e femminili
e alla divisione sociale del lavoro.
Ne emerge che con la maternità le
traiettorie lavorative delle donne subiscono forti condizionamenti, e non in
pochi casi si interrompono. La condizione di madre rappresenta un ostacolo al
lavoro non solo per le neomamme, ma e’ una limitazione per tutta la vita attiva
delle donne italiane. Altrettanto , avere una famiglia numerosa riduce ulteriormente
per la donna possibilità di lavorare. Eppure, la nascita di un figlio non
impedisce necessariamente di restare nel mercato del lavoro. Divenute madri, le
donne continuano a lavorare a condizione che occupino un posizione a cui
corrisponda un reddito adeguato. Un uscita del lavoro della neomamma espone
infatti, la famiglia al rischio di un difficile rientro. Se l’impegno orario e’
troppo lungo, le più fortunate tendono a ridurne la durata optando per il
part-time. Ma questa fortuna nel medio e lungo periodo potrebbe trasformarsi in
trappola e chiusura e percorsi di carriera.
Inoltre , il ruolo tradizionale
del padre come principale sostegno economico permane, e le donne, a livello di
sistema sociale, sembrano destinate a prendersi cura della famiglia.
D’altra parte, emerge una
propensione degli uomini ad una maggiore condivisione del lavoro di cura nei
confronti sopratutto dei figli, ma e’ sulle donne che grava il peso maggiore.
Nel sistema sociale italiano
l’attuale divisione del lavoro di genere, e’ in ogni caso ancora fortemente
radicato nell’immaginario collettivo .La legge sui CONGEDI PARENTALI e’ poco
utilizzata dagli uomini perché –e’
meglio che ad occuparsi dei figli siano soprattutto le madri-!
Quindi a livello informativo c’e’
molto da fare.
I CONGEDI PARENTALI : al fine di tutelare il ruolo socio-famigliare
della lavoratrice, e’ stata emanata la legge sui Congedi Parentali , la L.
8-3-2000 n. 53, innovando la disciplina preesistente, favorendo un adattamento
all’obiettivo di una più equa ripartizione delle responsabilità famigliari
all’interno del nucleo, ovvero tra lavoratori e lavoratrici, anche allo scopo
di favorire pari possibilità di carriera.
Nella parte B della legge, infatti, si legge: “ E’ attualmente previsto un
congedo parentale della durata
massima cumulativa di 10 mesi, fruibile
in alternativa dal padre o dalla madre, nei primi otto anni di vita del
bambino”.
E’ dunque alle politiche
pubbliche che spetta il compito principale di creare le condizioni strutturali atte
a garantire la possibilità effettiva che si realizzino le aspirazioni alla
modernità che affiorano nella società italiana.